La famiglia di Beatrice - Arnaldo Alberti (1984)
Hestel
A Locarno, nel 1855, una rissa è il pretesto per fare una rivoluzione. Allora di libertà, per un popolo di frontiera di un minuscolo Stato, ce n'è per tutti: per i colonnelli che montan splendidi cavalli bianchi, per i deputati che sanno cogliere le occasioni e diventano ministri, per i giudici dei tribunali d'eccezione che condannano a morte i perdenti.
Dopo i fatti storici, cent'anni di quiete, eppoi finalmente qualcuno si agita ancora: i giovani s'infuocano per la giustizia. Ma questa volta non scoppia la rivoluzione: quello scalmanarsi è, e rimane un gioco. Le rivolte serie, che contano, sono individuali, solitarie: quella di Trivina che per istinto sa come far soldi in una Svizzera dove, si dice, la ricchezza è la sola possibilità di riscatto da una condizione di abiezione morale. In antitesi con quella della sorella Trivina, la rivolta del fratello che, in una famiglia di perdenti, resta orgoglioso e fiero, non si piega e non vende niente di se stesso, né fa spreco di sentimenti. Personaggi inventati che si muovono in una piccola città vera: la Locarno che ha rimosso dalla coscienza, o volutamente dimenticato la sua storia, forse per il timore che i suoi abitanti d'oggi hanno di scoprire d'aver compiuto in passato qualcosa di grande e di buono, anche e persino con le azioni piú meschine. Storie di gente comune di uno Stato svizzero italiano, che ieri ha venduto l'acqua dei suoi fiumi, oggi vende la terra, e domani forse cederà l'anima ai "Signori del Nord", perché, scrive l'autore: "... il ticinese è generoso e buono; vuole ostinatamente e sempre offrire qualcosa di piú di quanto gli vien chiesto... ".
Non solo romanzo dunque, ma cronaca, tenera per i vinti e spietata per i vincitori che, soddisfatti e sazi, scacciano sempre dal loro campo la giustizia.
L'architettura del libro, il continuo alternarsi dei tempi e dei toni, il felice incontro di differenti stili, sono una sorprendente testimonianza di rinnovamento della narrativa italiana